Testo Gv 1,6-8.19-28
(edizione Bibbia CEI 2008)
6 Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
7Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
8Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
19 Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: “Tu, chi sei?”. 20Egli confessò e non negò. Confessò: “Io non sono il Cristo”. 21Allora gli chiesero: “Chi sei, dunque? Sei tu Elia?”. “Non lo sono”, disse. “Sei tu il profeta?”. “No”, rispose. 22Gli dissero allora: “Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?”. 23 Rispose:
“Io sono voce di uno che grida nel deserto:
Rendete diritta la via del Signore,
come disse il profeta Isaia”.
24Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. 25Essi lo interrogarono e gli dissero: “Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?”. 26Giovanni rispose loro: “Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, 27colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo”. 28Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.
Commento a cura del Gruppo Donne
La luce
La luce svela ciò che c’è. Gesù viene a rivelare qualcosa che non dobbiamo troppo cercare, semplicemente dobbiamo metterci nella prospettiva della luce e vivificare quello che esiste, liberare la speranza. Come nel passo di Isaia, “le cose nuove ci sono, non ve ne accorgete? “ .
Noi siamo già abitate dalla luce, nostro compito è renderci “trasparenti” per far emergere questa luce che ci viene data e che non possiamo darci da sole, oppure conquistarla mercanteggiando le nostre buone opere con Dio. La testimonianza è rendere trasparente la luce che è in noi.
La luce infatti ha necessità di una voce, di una testimonianza che ci faccia prestare attenzione per scorgerla. Giovanni è lo strumento che ce la indica. Consideriamo che la sua voce nel deserto non indica che fosse in solitudine, in quanto Giovanni aveva discepoli e le persone andavano ad ascoltarlo.
Giovanni significa “il Signore è misericordia”. E’ molto significativo che la missione di Gesù sia preceduta e annunciata da un uomo il cui nome rimanda alla Sua misericordia.
La voce: umiltà e responsabilità
La testimonianza di Giovanni, fino alla sua morte, è vissuta nella massima umiltà. In quell’ “io non sono” e indicando che verrà uno dopo di lui, fa capire che lui si identifica totalmente nella sua missione. Non si mette in evidenzia e rimanda alla centralità di Gesù. Notiamo che in greco la parola testimonianza ha anche il significato di martirio e in questo caso calza a pennello.
Giovanni addirittura risponde no quando gli chiedono se è un profeta. Eppure lui è un profeta, ma non vuole essere inserito in una categoria predefinita, perché categorizzare vuol dire ingabbiare, vuol dire togliere la libertà di pensiero. Lo stesso ci indica per il messaggio di Gesù: non inseritelo in categorie predefinite.
Meditiamo anche che non si tratta solo di umiltà ma anche di assunzione di responsabilità. La voce che grida è voce potente, che ha qualcosa di importante da dire. Come le donne che prendono parola nel contesto Chiesa, assumono la responsabilità di comunicare qualcosa che ritengono importante.
Voi non lo conoscete
Da una parte questa affermazione riferita a Gesù può indicare che il Battista pone l’accento sul fatto che non si conosce Dio tramite la sola conoscenza e osservanza stretta delle leggi (da parte dei sacerdoti e leviti cui si rivolge). Dall’altra consideriamo che può anche significare: non lo potete possedere, non lo potete dominare o ingabbiare. Lo stesso vale per noi, oggi. La conoscenza di Dio sta nel farne esperienza attraverso le relazioni.
Giovanni Battista e Maria madre di Gesù
In questo appuntamento liturgico che pone come salmo responsoriale il testo del Magnificat, consideriamo che le caratteristiche che emergono del Battista sono riferibili anche a Maria. E’ anche molto bello che il Magnificat parli di fatti riferendoli come già. Avvenuti (es. ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote) invitandoci a scoprire con occhi nuovi quanto abbiamo vissuto.
Citato il libro “L’ebraicità di Gesù e dei Vangeli” scritto da Alberto Mello, monaco di Bose e biblista, per approfondire la radice culturale del contesto ebraico sulle parole e sui gesti di Gesù.