Testo Gv 15,1-87
(edizione Bibbia CEI 2008)
1“Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.
Commento a cura del Gruppo Donne
Dio agricoltore ci cura
La pianta della vite è una bella metafora che ci rimanda al ciclo della vita e ci dice che la vita è alimentata dalla linfa del tronco, cioè Gesù.
Meditiamo sulla figura di Dio agricoltore che ha cura della sua vigna: è bello sentirsi curate nonostante ci sia lasciata la libertà di scegliere. Un’immagine che riporta il pensiero anche al giardino della Genesi, dove il Signore si prendeva cura delle creature umane (mio commento successivo avendo partecipato a un incontro sul Salmo 139: l’immagine di cura è proprio la chiave di lettura del Salmo).
Parti di un tutto
Gesù ci dice che possiamo essere in una relazione tutt’uno con Lui e con Dio, in una relazione diversa da quella Padre-figli: in una famiglia, i genitori e i figli sono entità distinte, pur legate da un vincolo profondo; qui invece si parla di essere parte di un tutt’uno. Meditiamo anche che se i tralci hanno bisogno della vite, anche la vite necessita dei tralci. In questo contesto di unicum si spiega la frase “chiedete quello che volete e vi sarà fatto”: se siamo in comunione con Gesù, quello che chiederemo, il nostro desiderare, coinciderà con il suo.
Sul rimanere
Ricorre il verbo “rimanere”: Gesù ci dice che nasciamo già dentro questa relazione, sta a noi scegliere di accettarla e rimanere in essa. Ripensiamo alla figura di Etty Hillesum, che descriveva nei suoi diari la bellezza di rimanere un po’ da sola con il Signore mentre tutto intorno nei campi di concentramento era terribile e orribile. Rimanere interpretato anche come “dimorare” (Fausti): noi siamo casa del Signore e il Signore è casa con noi. Rimanere in lui è anche citato nella seconda lettura di questa domenica (1Gv 3,18-24), dove viene detto che per rimanere occorre che ci amiamo gli uni gli altri.
Sui tralci gettati
Per alcune questa immagine è un invito a vivere serenamente, orientandosi al bene degli altri, perché se i propri limiti saranno d’impedimento sarà il Padre ad eliminarli, a purificarci da ciò che non è buono. Per altre questa azione netta di scarto, come c’è anche in altri passi del Vangelo, non è molto rasserenante. Condividiamo anche che nelle esperienze di relazione quotidiana i nostri limiti emergono e non sempre ci appare che Dio li abbia rimossi.