Testo Gv 3,14-21
(edizione Bibbia CEI 2008)
14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
19E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”.
Commento a cura del Gruppo Donne
Credere e fare verità
Questo brano segue l’episodio in cui Gesù manda all’aria il mercato del tempio e mostra che non tutte le persone erano rimaste indignate o basite da questo atto. Nicodemo infatti è persona di riferimento, uno dei capi dei Giudei, e viene mandato per ascoltare Gesù e capire meglio il suo insegnamento.
Notiamo che nel brano ricorre diverse volte il verbo credere. Nell’atto di fede sta il rischio di commettere il peccato più grande, che è quello di ritenere di non avere bisogno di Dio e agire di conseguenza. Da un altro punto di vista, il peccato più grande è il distacco da una vita di relazione d’amore, l’autoesclusione dalla possibilità di una pienezza di vita che Gesù ci ha rivelato.
Credere in Dio ci dà una prospettiva che ci aiuta non farci idoli “terreni”, a non dare troppa importanza a cose della vita che non sono fonte di salvezza.
Citata frase del Card. Martini: il credente è quello che si fa delle domande.
Meditiamo sul significato di fare verità: vuol dire seguire la strada giusta, mettere in pratica ciò in cui crediamo. Dio ci viene incontro nei modi più impensati come vediamo dal libro della Prima Lettura essere il ruolo del re Ciro.
Di condanna e salvezza, grazia, opere, libertà e responsabilità
Il brano è ostico. Sappiamo che essere innalzato vuol dire morire sulla croce e a seconda delle traduzioni troviamo il verbo giudicare o condannare. Ma Dio non ha mandato il figlio per condannare, o meglio: l’umanità non è condannata a seconda del comportamento, Gesù ha scardinato e scardina tuttora la visione di dover rispettare le regole morali per essere salvati. La salvezza avviene nel momento in cui si aderisce alla sua proposta di vita in pienezza alimentata dall’amore reciproco. E’ una consolazione: Dio mi salva perché lui è buono.
Tuttavia ulteriori pensieri ci interrogano: con riferimento alla seconda lettura, la Lettera agli Efesini, troviamo e meditiamo sulla frase “Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere”. Dio ci dà la capacità di fare opere per il bene. Un dono che accogliamo o meno, ma anche questo accoglimento è pure dono di Dio? Dove arriva la nostra responsabilità nella salvezza?
Nel sottofondo, questioni di potere
Infine una considerazione sulle tante analisi e interpretazioni, libri e saggi sulla Parola, profluvio di discorsi che nei secoli si sono affastellati. Qual è il senso di tutto ciò? La presenza di pensieri e sensibilità diverse è normale fra i credenti, e le differenze non rendono meno credenti gli uni o gli altri. Spesso gli studi e le analisi sono stati strumenti per l’affermazione del potere, per dare forza a una corrente di pensiero in modo che prevalesse sulle altre.
Riflettiamo anche sulle reali motivazioni degli scismi del cristianesimo, i due più grandi con la chiesa ortodossa e protestante, altri più piccoli (es. copti). Quanto di questo è veramente frutto di riflessioni teologiche, quanto è frutto di desiderio di potere?